Ille mi par esse deo videtur (carme 51) – Catullo

Traduzione

Ille mi par esse deo videtur,
ille, si fas est, superare divos,
qui sedens adversus identidem te
spectat et audit

dulce ridentem, misero quod omnis
eripit sensus mihi: nam simul te,
Lesbia, aspexi, nihil est super mi
vocis in ore,

lingua sed torpet, tenuis sub artus
flamma demanat, sonitu suopte
tintinant aures, gemina teguntur
lumina nocte.

Otium, Catulle, tibi molestum est:
otio exsultas nimiumque gestis:
otium et reges prius et beatas
perdidit urbes.
Mi sembra essere uguale ad un dio
se è lecito, (mi sembra) che sia superiore agli dèi
quello che, sedendo(ti) di fronte, incessantemente
ti guarda e (ti) ascolta

mentre ridi dolcemente, cosa questa che a me misero
strappa tutte le facoltà; infatti appena che,
o Lesbia, ti vedo, niente rimane a me
neppura la voce in gola

ma la lingua si intorpidisce, scorre sotto le membra
una fiamma sottile, di un suono proprio
le orecchie risuonano, entrambi gli occhi sono ricoperti
da una duplice notte

L’ozio, Catullo, ti è dannoso;
nell’ozio smanii e ti agiti troppo.
L’ozio in precedenza sia re che città felici.
ha distrutto.

Forma metrica: strofe saffica.

 

Commento

Si tratta del carme LI, tratto dalla raccolta poetica di Gaio Valerio Catullo intitolata Carmina Liber (I a.C.).

Catullo sta rivisitando l’ode 31 della poetessa greca Saffo (Φαίνεταί μοι κῆνος ἴσος θέοισιν) da molti intitolato Ode alla Gelosia, che racconta di una ragazza che si allontana dal thiasos (la “scuola” gestita da Saffo) per sposarsi.

Rispetto a Saffo possiamo dire che Catullo abbia creato una nuova composizione mirata a rafforzare il testo greco con sfumature più negative e drammatiche.  Inoltre, l’elemento della gelosia non è effettivamente presente:

  • la poetessa di Lesbo compone una sorta di epitalamio – cioè un inno matrimoniale – dotato di una componente di gelosia nei confronti del marito della sua ex-studentessa e vi inserisce uno sfogo passionale e un’analisi introspettiva;
  • il poeta romano, invece, dedica il componimento all’amata Lesbia, da poco conosciuta e per la quale sta provando le prime pulsioni d’amore.

La comunanza tra i due componimenti risiede pertanto nel turbamento sentimentale, cioè in quelle pulsioni del cuore del poeta, sconvolto dinanzi a qualcun altro che guarda e ascolta Lesbia.
Tutti i suoi sensi sono stravolti: la voce scompare, la lingua si inceppa, un fuoco scorre sotto la pelle, gli orecchi hanno il loro suono sottile, la vista si appanna.

L’amore è visto come una sorta di malattia, una sindrome che infetta non solo l’anima ma anche il corpo, arrivando ad annullare persino la ragione del poeta (fenomenologia psicosomatica).

L’ultima strofe non è tratta da Saffo ma è una completa innovazione del poeta, che riflette sull’otium, che considera come la colpa della sua rovina.

 

Approfondimenti ed Esercizi

 

Fonti

  • Conte G.B.: Letteratura Latina, dall’alta Repubblica all’età di Augusto (Le Monnier, vv. ed.);

  • Lippi D.: Lezioni su Catullo (Liceo Classico G. Carducci, 2014).

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